Nel momento in cui il bambino o il ragazzo fa il suo ingresso a scuola, presenta spesso comportamenti problematici che, in numerosi casi, trovano le loro radici in situazioni di grave disagio: disagio individuale, familiare, socioculturale, tra di loro spesso fortemente intrecciati ed interdipendenti. Le conseguenze di questi comportamenti sono evidenti nel percorso di apprendimento che in questi casi è caratterizzato soprattutto da una mancata o scarsa socializzazione: l’insufficiente padronanza di conoscenze, di abilità, di comportamenti e di sentimenti, impedisce di partecipare in maniera adeguata e soddisfacente alla vita sociale. Da qui, in un processo non meccanico e lineare ma sicuramente dinamico, il passo verso l’insuccesso scolastico, l’antisocialità, il bullismo o la violenza è spesso breve.
Diventa importante chiedersi quali sono i principi, i modi di pensare più frequenti che, di questi tempi, improntano l’azione degli educatori, poiché il loro atteggiamento è responsabile dei modelli e degli stereotipi che i giovani si costruiscono e si trascinano nelle esperienze successive. Tra i soggetti responsabili non vi sono solo gli educatori scolastici, ma anche gli adulti-famiglia, che tendono a delegare sempre più all’istituzione formativa (scolastica o extrascolastica) la “copertura temporale e spaziale” dei figli, deresponsabilizzandosi, offrendo scarsa presenza e vicinanza, rinunciando ad essere una base affettivamente sicura ed educativamente affidabile. E conoscendo quanto la famiglia sia importante per il successo scolastico e l'integrazione educativa del bambino, diventa imprescindibile giungere a definire quelle che, fra le molte, sono le problematiche più urgenti che investono le famiglie, corresponsabili di questo disagio.
Una analisi ottimale dovrebbe svilupparsi su due percorsi: l’uno volto ad esplicitare le problematiche socio relazionali che impediscono alle famiglie di instaurare buone relazioni con i figli, l’altro che indaghi sulla relazione tra scuola e famiglia al fine di progettare azioni di intervento congiunto finalizzato al recupero del disagio. Per quanto attiene al primo ambito di analisi, è dimostrato che, per una crescita armonica ed equilibrata dei componenti del nucleo familiare, fra essi deve maturare una capacità di ascolto reciproco e di scambio comunicativo per una realizzazione piena e consapevole dell'identità; a tal proposito la psicologia umanistica rogersiana, sostiene l'importanza del riscontro positivo in ogni transazione fra i soggetti che interagiscono, al fine di valorizzarne le qualità, le capacità di relazione, le competenze sociali, instaurando un circolo virtuoso di reciproco sostegno e maturazione. La consapevolezza di ciò potrebbe essere un primo fondamentale strumento di autoanalisi per la famiglia, nel tentativo di fronteggiare parte del disagio emotivo vissuto dai figli, ma anche dai genitori.
La realtà familiare non si slega neppure dal contesto scolastico, in quanto, come peraltro dimostrato, il modo in cui la famiglia percepisce e considera la scuola, va ad influenzare direttamente il livello di integrazione e di successo del figlio. Sull’altro versante, una ‘cattiva’ scuola può determinare processi negativi di disistima e rifiuto che, se la famiglia non è in grado di fronteggiare mediante strategie che ne attutiscano la portata, si riversano completamente sui componenti più deboli, ovvero i figli.
Per una analisi approfondita della relazione scuola-famiglia diviene indispensabile comprendere quanto e come le due istituzioni educative siano in relazione fra loro, e fino a che punto questa relazione sia positiva. Se da un lato gli studi di educazione cognitiva hanno espresso l'importanza del supporto familiare in termini di affettività ed emotività nel miglioramento dei processi di apprendimento, dall'altro, recenti studi di derivazione sociologico-economica affermano la necessità di limitare l'influenza dell'educazione genitoriale nel contribuire alla formazione scolastica del bambino, in quanto dipendente da variabili soggettive difficilmente controllabili, e spesso deleterie anziché rinforzanti. Inoltre una famiglia di per sé disagiata, ai primi segnali di insuccesso scolastico del figlio, tende ad etichettare la scuola come discriminante o inadatta: il rapporto scuola-famiglia involve in tal modo in una spirale negativa da effetto Pigmalione. Nella relazione scuola famiglia vanno tenute presenti svariate altre condizioni: va considerato quanto la condizione economica della famiglia è in grado di influenzare l'orientamento alla cultura o alla professionalità nella scelta della scuola; quanto il grado di istruzione di ciascuno dei genitori può comportare un limite al successo scolastico, quanto dalle famiglie sia compreso e accettato il confronto e la diversità fra il sistema scolastico pubblico e quello privato. Molto delicata inoltre è la questione del modello educativo adottato in ambito scolastico. Le ultime ricerche sulla didattica hanno rimesso in discussione la prerogativa di un modello didattico unico, e privilegiano una prospettiva sistemica aperta e flessibile, alla quale contribuiscono svariati approcci metodologici; A questo proposito si dovrebbe far riflettere il genitore sul modello didattico-educativo adottato dalla scuola, poiché la famiglia tende ad avere vecchi pregiudizi nei confronti della gestione organizzativa e didattica, e molto spesso, non condividendo o non conoscendo tale modello, tende ad ostacolarlo. In effetti, già di per sé disorientata nella definizione del proprio modello educativo, la famiglia propone stili di comportamento autoritari o lassisti che contrastano con il metodo proposto dalla scuola, disorientando ulteriormente i giovani. Oggi si tende a considerare la relazione docente allievo come estremamente complessa, e a credere che una relazione impostata sulla dominanza del docente sulla classe abbia molto meno successo di un modello basato sulla reciprocità e la compartecipazione dei soggetti. Essa può comportare una dispersione di energie per il controllo della classe e minore rendimento, dovuto all'assenza di motivazione degli studenti.
Lavorare con le famiglie per la riduzione o la prevenzione del disagio scolastico è un principio etico che deve diventare anche metodologico. Alcune interessanti esperienze di progetto scolastico finalizzato alla analisi e cura del disagio scolastico legato al disagio della famiglia sono state attivate a partire dalla convinzione che l’atteggiamento con cui la famiglia si pone rispetto a qualsiasi tipo di esperienza viene assunto e fatto proprio dal ragazzo, e si manifesta apertamente nel modo che egli ha di viverla ed affrontarla. Quanto detto appare con particolare evidenza nei confronti della scuola in generale, e, in particolare, della scuola media che coinvolge soggetti preadolescenti, che ancora rispecchiano totalmente gli atteggiamenti familiari, e aderiscono completamente, in maniera quasi inconsapevole ed acritica, ai modelli e agli schemi di pensiero di cui la famiglia si fa portatrice. La concezione che la famiglia ha della scuola e l’atteggiamento con cui si pone nei suoi confronti, gioca un ruolo fondamentale rispetto alle aspettative, alle percezioni, e, in generale, al modo di vivere le esperienze scolastiche da parte dei ragazzi. In particolare, in certi contesti culturali e sociali, questo ostacola notevolmente il compito della scuola, che viene spesso svalutata, vissuta negativamente, o quantomeno come inutile dai ragazzi e dalle loro famiglie.
Le attività del progetto possono essere supportate dalla somministrazione di test che consentano di valutare quelle dimensioni ritenute cruciali rispetto agli obiettivi dell’intervento come la percezione di sé e il livello di autostima posseduti dai ragazzi; il tipo di dinamiche relazionali e il grado di integrazione all’interno della classe. L’utilizzo di tali strumenti consente di far sperimentare ai ragazzi un modello di rapporto che privilegia e valorizza la fiducia piuttosto che il potere, la reciprocità piuttosto che il controllo, la cooperazione piuttosto che la competizione, il dialogo piuttosto che l’imposizione, proiettandoli verso una logica di confronto aperto ed esplicito sui problemi e sulle situazioni conflittuali piuttosto che verso la loro soppressione o elusione. Questa modalità di relazione presenta delle ricadute positive anche sul rapporto con gli insegnanti e all’interno della famiglia, laddove era presente un atteggiamento di apertura al dialogo e una concezione di educazione non come imposizione degli adulti sui ragazzi, ma come possibilità di crescita per entrambe le parti.
Dr.ssa Irene Dante - SSIS del Veneto
http://win.univirtual.it/varie/27082003.doc
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.